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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Piazza e Via Campo Marzio [1] (R. IV - Campo Marzio; R. VIII - S. Eustachio; R. III Colonna) (vi confluiscono: via Metastasio, via della Stelletta, via della Maddalena, via degli Uffici del Vicario; la strada va da Piazza del Parlamento a via degli Uffici del Vicario)

Fu detto genericamente così "Campo Marzio" il territorio compreso fra i colli del Tevere, ma più propriamente la parte prossima alle colline, mentre “Campus Tiberinus” e più tardi “Prata Flaminia[2] fu chiamata la sola porzione della zona attigua alla prima e più vicina al Tevere.
Il “Campo Marzio” fu diviso, poi, in “Maior” (il rione attuale ed una zona fino a Piazza Colonna) ed un “Minor” l’area fra S. Andrea della Valle, il portico di Agrippa, il Teatro di Pompeo e adiacenze.

Fu anche detta “in Circo” la parte meridionale, prossima al Circo Flaminio, ed “in Campo” l’altra più a nord, fra questa e la grande ansa del Tevere.
Confine fra le due doveva essere “l’Amnis Pretoria” un fiumicello che raccoglieva le acque del Quirinale sotto la odierna Dataria, e le convogliava al Tevere attraversando il Campo Marzio, col percorso: Piazza della Pilotta, SS. Apostoli, Piazza Venezia, Piazza l’arco de’ Ginnasi, S. Nicola ai Cesarini, Ghetto e Lungo Tevere dei Cenci. Sfociava a ovest del Ponte Fabricio.

Con l’usurpazione di Tarquinio il Superbo, il Campo Marzio divenne proprietà dei Tarquini, in modo che i Romani non ne ebbero più la disponibilità per le esercitazioni ed i comizi. Cacciata la monarchia (510 a.C.), il campo fu consacrato a Marte e non ebbe abitazioni, fino ai primi tempi dell’impero.

Quando le abitazioni divennero numerose, la IX regio di Augusto fu ridotta e limitata, a destra della via Lata (Corso), com’è confermato da un cippo confinario (rinvenuto nelle vicinanze del Pantheon) che indica la divisione del Campo in due parti: l’una fittamente edificata, l’altra più a settentrione libera.

Nel medioevo restò la parte più abitata, giacché per la rovina degli acquedotti, essendo la città priva di acqua [3], gli abitanti usufruivano di quella del fiume e quelli che abitavano le colline, in seguito alle invasioni barbariche, si concentrarono nel Campo Marzio.

La ripartizione dell’Urbe fatta da Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini - 1740-1758), nel 1744, gli attribuì  quei confini che, salvo qualche piccola variazione toponomastica, sono ancora attuali.

Il nome della piazza deriva dal monastero e dalla chiesa di “S. Maria in Campo Marzio[4] presenti nella piazza omonima.

Al tempo delle persecuzioni dell’impero bizantino, con l´imperatore Leone III (717-741) e, in seguito, di suo figlio Costantino V (741-775), alcune suore, che si erano rifugiate in Nazianzo (Cappadocia), presso la chiesa di S. Tecla, ove era sepolto S. Gregorio Nazianzeno (328-390), decisero di fuggire a Roma.
Giunte nel 750 con l’immagine della Vergine attribuita a S. Luca, col corpo di S. Gregorio, con la testa di S. Quirino e con altre reliquie, mentre si avviavano a S. Pietro, accadde che le bestie che trainavano i carri s’impuntassero proprio sull’attuale piazza di Campo Marzio, né più si vollero rimuovere. Interpretato questo incidente come effetto di una volontà suprema, deposero lì le reliquie.

Zaccaria I (741-752), dopo averle fatte ricoverare temporaneamente alla Minerva e restaurato intanto un Oratorio ed un convento, già dei Basiliani qui nella piazza, vi alloggiò le profughe suore che vennero perciò dette “monache di S. Maria in Minerva e di S. Maria in Campo Marzio”. Esse fabbricarono un altro oratorio vicino al primo dove deposero le reliquie. A queste suore basiliane greche, che fecero molti proseliti fra la nobiltà romana (tanto da avere, fin dal XIII secolo, molti e vasti possedimenti, sia a Roma [5] che fuori), successero le benedettine che unirono i due oratori di S. Maria e S. Gregorio [6] entro il monastero, quando nel 1564, a spese di Chiara Colonna, fu fabbricata una nuova chiesa per il popolo.

Nel  1580,  Gregorio  XIII  (Ugo Boncompagni - 1572-1585)  fece trasportare,  con  grandissima pompa, in S. Pietro le reliquie del Nazianzieno (al 3° ordine delle Logge Vaticane è riprodotta la processione) dove sono rimaste fino ad oggi.

Nel 1685, la chiesa fu riedificata e nel 1778 fu ingrandito il convento con il dono di una casa, fatto alle suore da Pio VI (Giovanni Angelo - Braschi - 1775-1799).

La chiesa, durante il governo francese, fu data all’amministrazione del Lotto; ma, al ritorno di Pio VII (Barnaba Niccolò Chiaramonti - 1800-1823),  nel 1814, fu restituita alle monache.

Nel febbraio del 1822, nel lavorarsi verso la porticella della chiesa di Campo Marzio, in mezzo alla strada, alla profondità di 10 palmi, si è trovata una sezione di strada antica, lastricata a gran selci, inclinata alquanto verso la chiesa. Sonovi sopra 3 strati di calcinaccio e terriccio, i quali mostrano in che modo siasi alzata la strada in epoche diverse. Né sotterranei delle case attigue esistono colonne da cui si rileva che antiche fabbriche vi fossero. La profondità di essa strada eguaglia presso a poco l’ordinaria della Roma moderna, alla riserva de’ colli, dove le strade sono profonde tra 14 o 15 palmi e la vicina Piazza Colonna è di 17 e 18”.

 Nel 1870, fu posto nel monastero indemaniato, l’Archivio del Regno d’Italia.

La via Campo Marzio, nel primo tratto, da via degli Uffici del Vicario a via dei Prefetti, si chiamò via Marescotti, dal palazzo ch’era al principio della strada e che apparteneva, nel 1684, a quello Sforza Marescotti che, sposando Vittoria Ruspoli, ultima della casata, ne aveva assunto il cognome.

Sulla strada, a sinistra, fino al vicolo Valdina, si vede ancora la facciata secondaria dell’ex convento sopra detto.

A destra, all’altezza della Piazza del Parlamento, la demolizione di alcune case ha fatto si che la via Campo Marzio (alla fine dell’ex via Marescotti) sia andata a far parte della detta piazza. Il resto della via, fino a Piazza in Lucina, aveva ed ha il nome di Campo Marzio.

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[1] )            La piazza fu anche detta volgarmente « delle monachelle » dal convento.

[2] )            Nonostante la proibizione dei magistrati nel 510-519 a.C., allorché il Campo Marzio fu occupato dal popolo, in seguito vi si formarono delle proprietà private così i “prata Aemiliana” e “i prata Flaminia”, dove la “gente Flaminia” costruì il nuovo circo.

[3] )            L'acqua del Tevere era stata dichiarata nel XVI sec. la "miglior acqua dell'Europa per bevere", e ciò per la quantità dei minerali che vi entrano. Clemente VII, consigliato dall'archiatra Matteo Corti, ne portò seco una grande provvista, quando nel 1533 si recò a Marsiglia per abboccarsi con Francesco I. Così fece Paolo III (1534-1549) nei suoi viaggi e Gregorio XVIII (1572-1589) bevve sempre l'acqua tiberina. Ludovico Ariosto (1474-1533) scriveva al fratello, nel 1517, di procurargli un piccolo alloggio e fargli trovare, al suo arrivo, l’acqua purgata del Tevere. Dice Sextus Iulius Frontinus (41-103 d.Ch.) “dalla fondazione dell´Urbe per 441 anni, i Romani si contentavano solamente delle acque che affluivano o dal Tevere, o dai fossi, o dalle sorgenti urbane”. Del resto nei primi del XIX secolo, molte comunità religiose bevevano acqua del Tevere, attinta prima del Ponte Milvio. Riposata per sei giorni, veniva poi venduta, in “cuppelle” dagli acquarenari che costituirono una Corporazione di cui si parla fin dal 1283.

[4] )            L’ara, in marmo bianco di forma cubica con ornati di festoni fogliacei, ch’è nel mezzo della piazza, risale al II-III sec.  Tra i numeri civici 5 e 7, vi è un portico romano che ha incastrate nel muro, colonne di granito con capitello ionico e sovrapposta trabeazione.

[5] )            Clemente IV (1265-1268) dette ai padri Domenicani la chiesa della Minerva che essi ancora possiedono.

[6] )            Nella biografia di Leone III è detto di un oratorio : “S. Gregorii quod ponitur in Campo Martis”.

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Lapidi, Edicole e Chiese :

- Piazza in Campo Marzo
- Via di Campo Marzio

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